E’ stato pubblicato sulla rivista scientifica Journal of Cleaner Production uno studio LCA commissionato da Liquigas S.p.A ed eseguito in collaborazione con Innovhub-SSI. Lo studio ha confrontato gli impatti ambientali del ciclo di vita di autovetture di segmento B e C, alimentate da una miscela di GPL (60%), bio-GPL (20%) e dimetil etere (DME) rinnovabile (20%). Le due auto sono state confrontate con auto a benzina e auto elettriche. In Unione Europea, la miscela di carburanti proposta potrebbe ridurre le emissioni climalteranti degli 8,3 milioni di auto alimentabili a GPL. La miscela sfrutterebbe la conversione di rifiuti in carburanti prodotti a partire da oli alimentari esausti, FORSU e plastiche non riciclabili in carburanti, incoraggiando l’economia circolare. L’utilizzo pratico della miscela è possibile, in quanto è risultata compatibile con gli standard di vendita del GPL per autotrazione (EN 589:2018) e con lo standard emissivo Euro 6 per autovetture.
Lo studio ha innanzitutto dimostrato che, per tutte le 16 categorie di impatto, gli impatti aumentano passando dal segmento B al segmento C. A seconda della taglia dell’auto, la miscela riduce le emissioni climalteranti del 16%-21% in confronto all’auto a benzina ed è preferibile alla benzina in 5 categorie di impatto su 16, mentre risulta svantaggiosa in 2-5 categorie. Le auto elettriche riducono gli impatti delle auto a benzina in 5 categorie di impatto (incluso un risparmio di emissioni climalteranti del 36%-38%) ma li aumentano in 10 categorie. Lo studio ha inoltre evidenziato incrementi del consumo d’acqua di oltre il 200% per tutte le auto ad alimentazione alternativa. Futuri sforzi dovrebbero essere indirizzati alla limitata disponibilità di materie prime di scarto usate per la produzione della miscela proposta.
Impatti ambientali per la categoria “Cambiamenti climatici”, riferiti a 1 km percorso. Nel caso dello scenario con la miscela, i risultati dei sottoscenari che prevedono l’utilizzo di tre diverse tipologie di rDME sono stati mediati. Le barre di errore si riferiscono all’intervallo dei risultati della miscela al variare del tipo di DME analizzato (bio-DME, e-DME e DME derivante da carbonio riciclato). Le differenze percentuali si riferiscono all’auto a benzina. Legenda: TTW = “dal serbatoio alle ruote”, WWT = “dal pozzo al serbatoio”.
È ora disponibile la pubblicazione “Environmental performance of a 1 MW photovoltaic plant in the Atacama Desert: A life cycle assessment study” riguardante uno studio di valutazione del ciclo di vita di impianti solari fotovoltaici nel deserto di Atacama (Cile). L’articolo è parte della tesi di dottorato in Solar Energy presso l’Università di Antofagasta di Denet Soler, ospitata nel gruppo di ricerca AWARE da Lucia Rigamonti per alcuni mesi. Lo studio esamina il consumo di energia primaria e le prestazioni ambientali di un impianto fotovoltaico da 1 MW connesso alla rete situato nel deserto di Atacama. Le condizioni uniche di tale deserto includono elevati valori di irradianza orizzontale globale annuale (>2600 kWh/m2), un fattore di degradazione del modulo dell’1,5% all’anno, usura accelerata di componenti come gli inverter, opere civili adattate a terreni salini e corrosivi, lunghe distanze di trasporto e risorse idriche limitate. I modelli di inventario hanno utilizzato prevalentemente dati primari, tra cui misurazioni in situ ed esperienze operative da una struttura gestita localmente.
Per saperne di più, potete leggere la pubblicazione disponibile qua.
Il dottorato ha previsto la valutazione complessiva di flussi ed impatti della filiera delle plastiche nell’Unione Europea (UE) per l’anno 2019. Le analisi coprono vari settori (tra cui quello degli imballaggi, dei trasporti, dell’agricoltura, etc.) e polimeri (tra cui poliolefine e poliesteri), e sedici categorie di impatto (includendo ma non limitandosi al cambiamento climatico, seguendo il metodo ‘Environmental Footprint’ raccomandato dalla Commissione Europea).
I risultati hanno evidenziato il ruolo del settore degli imballaggi come quello più importante tra quelli valutati, contribuendo a più di un terzo del consumo totale di plastica (circa 45 milioni di tonnellate). Complessivamente, poco meno del 17% del rifiuto plastico generato ogni anno viene riciclato e utilizzato per generare nuovi prodotti nell’UE. Gli impatti totali sul cambiamento climatico della intera filiera ammontano a 279 milioni di tonnellate di CO2 equivalente. Solo scenari ambiziosi ad alto recupero di plastica ed efficienza potrebbero essere in grado di ridurre tali impatti, specialmente quando accoppiati con una riduzione della produzione di plastica.
I risultati mostrano come la combinazione di una analisi dei flussi e degli impatti consenta di fornire una visione del sistema plastiche sia complessiva che dettagliata. Tale approccio constente di sottolineare gli aspetti più critici dell’intera filiera, che potrebbero restare meno evidenti nel solo caso di analisi specifiche. Questi dettagli possono infatti rappresentare uno strumento utile per i decisori al fine di una possibile prioritizzazione di future azioni da intraprendere. Analogamente, lo studio può rappresentare un punto di partenza per ricercatori verso nuove ed aggiornate stime. La necessità di investigare ulteriormente tale filiera è un passo fondamentale per adempiere alle ambizioni dell’UE e superare le sempre più crescenti problematiche legate ai suoi impatti ambientali.
Vede finalmente la luce l’articolo che presenta la valutazione sociale (Social Assessment – SA) sugli impatti legati alla chiusura della discarica di Ngong (Kenya), svolta nel 2018 all’interno di un progetto promosso da UNHabitat e finanziato da AICS.
“Social aspects in the pathway towards the closure of a dumpsite: the case of Ngong (Kenya)” è disponibile in Open Access presso il sito della rivista “Environment, Development and Sustainability”: https://link.springer.com/article/10.1007/s10668-024-05511-7
Co-autorato da Francesca Villa e Mario Grosso di AWARE insieme ai colleghi della Technical University of Kenya (J. Oteki, L. Sitoki, D. Miheso) e alla sociologa Sonia Maria Diaz di WIEGO, il testo esplora un aspetto spesso trascurato in letteratura, ovvero gli impatti che interventi anche virtuosi sul sistema di gestione dei rifiuti possano avere sulle componenti più vulnerabili della popolazione, soprattutto in contesti a basso reddito.
Se da una parte infatti la sostituzione di una discarica a cielo aperto (destinazione ahinoi di almeno un terzo dei rifiuti smaltiti a livello globale) con un sistema di trattamento e smaltimento controllato è un’azione auspicabile, dall’altra parte le modifiche alla gestione dei rifiuti possono portare a dinamiche di esclusione, aggravando la situazione dei lavoratori del settore informale (i cosiddetti “raccoglitori di rifiuti”, o waste pickers).
La valutazione sociale (non esplicitamente richiesta dalla committenza dello studio di fattibilità) ha portato ad identificare gli impatti percepiti dai diversi soggetti coinvolti, raggruppandoli in linee strategiche: impatti su ambientale, salute e sicurezza; lavoro e vulnerabilità dei lavoratori del settore dei rifiuti; fiducia nelle istituzioni, partecipazione della comunità e opposizione locale; sensibilizzazione; e nuove strategie per la gestione dei rifiuti solidi. Per ciascuno di questi aspetti è stato esplorato il nesso causale e sono state fornite raccomandazioni. I metodi utilizzati, seguendo l’impostazione metodologica di Bernstein (2004), sono stati sia qualitativi che quantitativi, con la raccolta di dati primari sul campo all’inizio del 2018.
I risultati dell’articolo permettono di evidenziare alcuni aspetti rilevanti:
Attenzione alle dinamiche locali: Un miglioramento dell’ambiente fisico non risolve automaticamente le questioni sociali, e la gestione del cambiamento è altrettanto importante per garantire un risultato positivo. La gestione dei conflitti locali (in alcuni casi prevedibili, come le proteste dei lavoratori informali) e l’inclusione delle comunità vulnerabili sono aspetti che possono essere facilmente trascurati nelle fasi iniziali di un progetto.
Integrazione dei lavoratori informali: Nella letteratura correlata alla gestione dei rifiuti nei contesti a basso reddito si rileva spesso l’importanza dell’integrazione dei lavoratori informali (i cosiddetti “raccoglitori di rifiuti”), e la nostra ricerca lo conferma. Misure di integrazione e protezione dei mezzi di sussistenza sono fondamentali per mitigare i rischi sociali.
Implicazioni per le organizzazioni internazionali: Le organizzazioni internazionali che promuovono e finanziano progetti simili hanno un ruolo nel garantirne la sostenibilità anche da un punto di vista sociale, e non solo attraverso la supervisione del processo: la valutazione sociale dovrebbe essere inclusa negli studi di fattibilità, ma è anche importante allocare fondi per implementare una gestione sociale completa.
Limitazioni della valutazione sociale: Le limitazioni della ricerca (principalmente dovute alla scarsità di tempo e alle competenze limitate in scienze sociali all’interno del team) sono evidenziate nell’articolo, in modo tale da supportare la futura progettazione di valutazioni sociali in contesti simili.
In conclusione, l’articolo sottolinea l’importanza di un approccio integrato agli aspetti ambientali, sociali ed economici nella gestione dei rifiuti, per evitare conseguenze negative per le comunità vulnerabili, gestire i conflitti e garantire il successo a lungo termine dei progetti di gestione dei rifiuti. Anche all’interno di progetti prevalentemente tecnici dovrebbe essere considerata una componente di ricerca sociale qualitativa, attingendo a competenze multi-disciplinari.
È online e pubblicato sul numero di settembre 2024 della rivista Bioresource technology l’articolo dal titolo “Degradation of paper-based boxes for food delivery in composting and anaerobic digestion tests”.
Nella ricerca è stata valutata la degradabilità di alcune scatole per il food delivery in sola carta e a base carta con film barriera quando sottoposti ai processi biologici di trattamento del rifiuto organico (compostaggio e digestione anaerobica).
La prova di compostaggio è stata svolta riproducendo le condizioni presenti negli impianti di trattamento industriali. Per le condizioni anaerobiche sono stati invece svolti test di biometanazione (BMP) e prove di co-digestione con il rifiuto alimentare in condizioni di semi-continuo per simulare le condizioni presenti negli impianti alla scala industriale.
Nelle prove di compostaggio, le scatole realizzate in sola carta sono risultate disintegrate e indistinguibili dal compost in tempi molto più brevi rispetto alle scatole con trattamento barriera (tra cui la scatola con film in PLA).
I risultati delle prove di BMP hanno mostrato una degradabilità della carta paragonabile a quella del rifiuto alimentare (superiore al 90%), mentre la degradabilità della scatola con film in PLA è risultata inferiore (75%). Inoltre, nelle prove in semicontinuo effettuate sulla vaschetta con film in PLA, sono stati riscontrati residui non degradati, costituiti dal film stesso.
Complessivamente, i risultati mostrano quindi l’elevata compatibilità della carta con i processi biologici di trattamento della frazione organica; al contrario, sono emerse criticità legate alla presenza di film barriera.
Per approfondire, la pubblicazione completa è disponibile a questo link.
The mining industry faces significant losses in valuable minerals and metals smaller than 20 µm due to difficulty related to the recovery of this fraction. Current methods are often unable to recover these fine materials efficiently, leading to waste and reduced resource optimization. Our research focuses on the FineFuture emerging technology designed to address this issue by improving the beneficiation process for fine-grained mineral deposits, thereby promoting sustainability and enhancing economic efficiency within the industry.
The Social Hotspot assessment developed for the analysis, utilized the Product Social Impact Life Cycle Assessment (PSILCA) database to analyze social hotspots in the relevant industrial sector. In addition, a survey captured the viewpoints of technology developers regarding additional potential social risk and opportunities. The final results were defined by combining these two analyses, conducted according to the 2020 UNEP guidelines for Social Life Cycle Assessment of Products and Organizations.
For the economic assessment, the Material Flow Cost Accounting (MFCA) methodology (ISO14051) was applied, considering material costs, system costs, energy costs, and waste management costs for both the current situation and a future industrial-scale scenario.
For a more in-depth analysis and a comprehensive review of our findings, we invite you to read the full paper, available at the International Journal of Life Cycle Assessment. Click here to access the article.
È online e pubblicato sulla rivista Waste and Biomass Valorization l’articolo dal titolo “Life Cycle Assessment of Microalgal Biomass Valorization from a Wastewater Treatment Process”. Il lavoro ha come obiettivo, tramite analisi LCA, di valutare le implicazioni, in termini di impatto ambientale, dell’accoppiamento tra un sistema di depurazione delle acque reflue e il processo di coltivazione microalgale. Inoltre, lo studio ha analizzato diverse strategie tramite cui poter valorizzare la biomassa algale, così da renderla risorsa anziché scarto di processo. Tra le strategie analizzate, si è voluto dare rilievo alla possibilità di utilizzare la biomassa algale per la produzione di biostimolanti, prodotti che attualmente stanno avendo grande successo nel settore agricolo per i numerosi benefici che sono in grado di apportare: sviluppo di un sistema radicale forte e di un microbiota del terreno dinamico, aumento dell’efficienza di utilizzo dei macronutrienti presenti nel terreno e della resistenza delle colture agli stress di tipo abiotico.
Dai risultati dello studio è stato possibile concludere che il sistema integrato di depurazione e coltivazione algale ha le potenzialità per ridurre gli impatti ambientali rispetto ad un sistema di depurazione tradizionale, in particolare grazie all’inclusione delle strategie di valorizzazione della biomassa. Inoltre, essendo state testate due modalità di modellizzazione per quanto riguarda i benefici riconducili ai biostimolanti, emerge come tale scelta influenzi i risultati e, quindi, le conclusioni.
Il lavoro è parte dell’attività svolta nell’ambito del progetto Ecosister, progetto finanziato dal Programma Nazionale di Ripresa e Resilienza (Missione 4 Istruzione e ricerca – Componente 2).
Per approfondire, la pubblicazione completa è disponibile a questo link
La Direttiva Quadro Rifiuti stabilisce un quadro giuridico comune a livello europeo per la gestione dei rifiuti, definendo una gerarchia di priorità nella quale il riutilizzo assume un ruolo chiave, collocandosi tra le misure di prevenzione e favorendo la transizione da un’economia lineare a un’economia circolare. Emerge così l’importanza dei centri del riuso nel prolungare la vita utile dei beni, intercettandoli prima che diventino rifiuti e rendendoli disponibili ad altri utenti.
Da questa premessa emergono due domande: il riuso di prodotti offre realmente un beneficio ambientale concreto? E quali sono gli elementi più significativi che influenzano tale potenziale beneficio, richiedendo eventualmente regolamentazioni o interventi? La risposta a questi interrogativi è esplorata nella pubblicazione italiana dal titolo “Quantificazione delle prestazioni ambientali della pratica del riutilizzo promossa dai centri del riuso tramite metodologia LCA”, disponibile sulla rivista Ingegneria dell’Ambiente (volume 11, numero 2, anno 2024).
Il fulcro dello studio è stato definire una metodologia di analisi del ciclo di vita (Life Cycle Assessment, LCA) della pratica del riutilizzo promossa dai centri del riuso, analizzandone le caratteristiche specifiche. Sono stati definiti parametri chiave per l’analisi, come i tassi di sostituzione, di qualità e di prestazione energetica. La metodologia è stata applicata a un caso di studio, il centro del riuso Panta Rei di Vimercate (MB), per valutare se e in che misura il riutilizzo praticato nel 2022 abbia portato i benefici ambientali previsti. È emerso che il beneficio ambientale associato al riutilizzo di un singolo bene, e di conseguenza all’attività di un centro del riuso, non è automaticamente garantito, ma dipende da diversi fattori, tra cui i più significativi sono risultati il tasso di sostituzione, che indica se l’acquisto di un bene usato sostituisce effettivamente l’acquisto di un bene nuovo, e la distanza tra il centro del riuso e l’abitazione del secondo utente. In generale, lo studio ha sottolineato il ruolo cruciale del consumatore nel contesto del riutilizzo, evidenziando l’importanza di includere questo aspetto in un’analisi completa del ciclo di vita.
Sintesi dei risultati principali del caso di studio. Le 16 categorie d’impatto esaminate sono quelle previste dal metodo di caratterizzazione Environmental Footprint 3.1. Il tasso di sostituzione tA,s è stato ottenuto, per lo scenario base e dove indicato come “effettivo”, tramite un questionario somministrato a un campione di 577 utenti del centro del riuso.
Panoramica delle limitazioni e sfide della caratterizzazione midpoint ed endpoint. Il segno “+” si riferisce a effetti positivi sullo strato di ozono stratosferico, mentre i segni “-” ad effetti dannosi. GHG = greenhouse gas, LCA = life cycle assessment, LCIA = life cycle impact assessment, ODS = ozone-depleting substance, VSLS = very short-lived substance.
È stato pubblicato sulla rivista scientifica Cleaner Environmental Systems un nuovo articolo dal titolo “Revisiting the challenges of ozone depletion in life cycle assessment“. L’articolo si è prefisso di valutare lo stato dell’arte della scienza sull’ozono stratosferico per quanto pertiene alle valutazioni del ciclo di vita. I risultati principali hanno sottolineato la necessità di:
aggiornamenti regolari dei database per LCA in linea con il Protocollo di Montreal;
aggiornamenti dei modelli di caratterizzazione con le più recenti pubblicazioni dell’Organizzazione Metereologica Mondiale;
espansione delle sostanze caratterizzate nei metodi di valutazione degli impatti;
inclusione di una gamma più ampia di effetti nei modelli di caratterizzazione endpoint.
Includere tutti gli effetti relativi a una singola sostanza rappresenta una grande sfida, richiedendo ingenti quantità di dati aggiuntivi e tecniche di modellizzazione per tenere conto degli effetti sinergici e antagonistici con altre categorie di impatto, come il cambiamento climatico. Pertanto, la collaborazione tra varie comunità scientifiche, inclusi esperti di scienze atmosferiche ed ambientali, è essenziale.
É stato pubblicato sulla rivista scientifica Waste Management un articolo in cui viene affrontato il tema della gestione dei rifiuti solidi urbani nelle aree pubbliche, con specifico riferimento a quelli generati negli spazi comuni dell’aeroporto di Milano Malpensa. Tali rifiuti sono spesso caratterizzati da alti livelli di contaminazione a causa principalmente della fretta, negligenza o incertezza delle persone. Per questi motivi, nella maggior parte dei casi non è possibile l’avvio a riciclo, nonostante le analisi di composizione abbiano evidenziato che circa l’88% del materiale possa essere riciclato.
Lo studio pone a confronto la raccolta differenziata effettuata manualmente dai passeggeri dell’aeroporto con quella effettuata da un cestino automatico basato sull’intelligenza artificiale, il cestino WiSort, in grado di separare il rifiuto in quattro diverse frazioni (carta, plastica, vetro/alluminio e indifferenziato), per valutare gli impatti ambientali, tramite un’analisi di Life Cycle Assessment (LCA), ed economici lungo tutta la catena di gestione del rifiuto. I risultati mostrano come l’utilizzo di un sistema automatico possa determinare sia benefici di tipo ambientale (maggiori quantità effettivamente avviate a riciclo) che economico (riduzione dei costi di smaltimento e ottimizzazione delle attività di raccolta), a patto che sia garantito un livello di accuratezza di classificazione superiore all’80%.