Plastiche e imballaggi: le alternative sono realmente più sostenibili? Cosa ci dice l’analisi del ciclo di vita

Nel commercio moderno gli imballaggi in plastica svolgono ancora un ruolo fondamentale in diversi settori quale ad esempio quello alimentare, dove a oggi rappresentano il 64% delle vendite complessive. Tuttavia, a causa del crescente senso di responsabilità ambientale da parte dei cittadini e delle aziende, laddove ciò sia tecnicamente fattibile, le plastiche convenzionali sono sempre più sostituite da materiali alternativi, percepiti come più sostenibili. Tale percezione deve però trovare conferma attraverso valutazioni scientifiche, effettuate ad esempio con il supporto dell’analisi del ciclo di vita (Life Cycle Assessment, LCA).

Inserendosi in tale contesto, il gruppo di ricerca AWARE ha appena pubblicato un nuovo articolo sulla rivista Waste Management & Research: The Journal for a Sustainable Circular Economy dal titolo “How does plastic compare with alternative materials in the packaging sector? A systematic review of LCA studies”.

Nella pubblicazione si analizzano 53 studi LCA peer-reviewed pubblicati nella letteratura scientifica, nell’intervallo temporale 2019-2023, con l’obiettivo di comprendere lo stato dell’arte in merito agli impatti ambientali degli imballaggi concentrandosi sul confronto tra plastica e materiali alternativi. L’analisi della letteratura ha dimostrato come le percezioni dei consumatori spesso differiscano dai risultati dell’LCA e ha rivelato che le plastiche convenzionali non rappresentano sempre la scelta meno rispettosa dell’ambiente. Partendo dalle bioplastiche, che si stanno sempre più diffondendo sul mercato, si evidenziano prestazioni migliori rispetto alle plastiche convenzionali negli indicatori di cambiamento climatico e di esaurimento delle risorse fossili, mentre nelle altre categorie di impatto i carichi ambientali sono generalmente peggiori. Anche l’uso del vetro risulta poco raccomandabile da un punto di vista ambientale a causa del peso elevato di tale materiale rispetto alla plastica, peso che influenza non solo le prestazioni della fase produttiva ma anche quelle delle fasi di trasporto coinvolte nella filiera. Un miglioramento ambientale è sicuramente ottenibile attraverso il riutilizzo del vetro, ma solo sotto determinate condizioni (quali l’elevato numero di riutilizzi e distanze di trasporto ridotte) il materiale diventa raccomandabile rispetto all’utilizzo delle plastiche convenzionali. Per i metalli, l’alluminio in particolare, il confronto con la plastiche è più equilibrato soprattutto nel settore delle bevande e lo stesso discorso vale per la carta.

La revisione degli studi LCA ha consentito anche di identificare aree di miglioramento per la maggior parte dei materiali analizzati. Per quanto concerne il vetro e i metalli, il settore produttivo dovrebbe concentrarsi sul loro riutilizzo, operazione che consente di ridurre significativamente il carico ambientale, cercando tuttavia di limitare le distanze di trasporto e i carichi ambientali per il ricondizionamento e il lavaggio degli imballaggi tra un utilizzo e l’altro. Per le bioplastiche, materiali di più recente introduzione, i processi produttivi necessitano ancora di un’ottimizzazione, ottenibile per esempio concentrandosi sull’utilizzo di scarti di processo come materia prima. Anche la fase di fine vita necessita di essere migliorata, cercando di superare le limitazioni legate ai processi biologici e magari puntando sul loro riciclo, a seguito di una raccolta differenziata. Occorre inoltre sottolineare che le plastiche convenzionali possono ulteriormente migliorare le proprie prestazioni ambientali incrementando la percentuale di polimeri riciclati nel relativo processo produttivo.

Si sottolinea come ultimo aspetto che l’analisi delle prestazioni ambientali non è sufficiente per trarre conclusioni definitive sulla sostenibilità complessiva della plastica convenzionale rispetto agli altri materiali. Per una valutazione esaustiva si richiede anche un’analisi degli impatti sociali ed economici degli imballaggi, sempre basata sull’approccio del ciclo di vita.

L’articolo completo è visionabile gratuitamente al seguente link

Sostenibilità ambientale dei parchi eolici offshore galleggianti – una nuova pubblicazione

È appena stato pubblicato un nuovo articolo sulla rivista Renewable and Sustainable Energy Reviews che discute in senso ampio la sostenibilità ambientale dei parchi eolici offshore galleggianti.

La pubblicazione “Making eco-sustainable floating offshore wind farms: Siting, mitigations, and compensations” è disponibile al seguente link.

Graphical abstract

L’energia eolica è riconosciuta tra le risorse rinnovabili più promettenti per la transizione energetica e il fatto che le turbine eoliche possano essere installate su strutture di fondazione galleggianti permetterà il loro posizionamento in zone con fondali di profondità sempre maggiori ed eventualmente più lontane dalla costa. Sebbene questa possibilità porti a dei vantaggi in termini di produttività dei parchi eolici e di riduzione dell’impatto paesaggistico, la comprensione ancora limitata degli impatti sugli ecosistemi e le preoccupazioni per i conflitti nell’uso dello spazio marittimo (ad esempio, per la pesca) potrebbero portare a un approccio precauzionale che ne limita lo sviluppo.

Con queste premesse, l’articolo presenta le caratteristiche degli habitat potenzialmente interessati da queste installazioni e definisce un insieme di criteri standardizzati applicabili durante il processo di autorizzazione, al fine che la Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA) supporti effettivamente una progettazione in grado di garantire il principio “Do No Significant Harm“.

La pubblicazione nasce dallo sforzo condiviso di diversi esperti che hanno apportato il loro specifico punto di vista sul tema; il contributo all’analisi di alcuni componenti del gruppo AWARE riguarda il ruolo della valutazione del ciclo di vita (LCA) al fine di ampliare ancora di più lo spettro dei potenziali impatti ambientali da indagare. Per approfondire questo specifico tema è sempre disposibile, in open access, l’articolo “Life cycle assessment of a floating offshore wind farm in Italy” che presenta uno studio di valutazione del ciclo di vita di un impianto eolico offshore di 190 turbine da 14,7 MW da installare su fondazioni galleggianti.

L’articolo appena pubblicato, concentrando il focus dell’analisi soprattutto su impatti non inclusi o non ancora ampiamente affrontati nelle LCA, conclude che un’adeguata localizzazione, un monitoraggio sistematico nonché azioni di mitigazione e compensazione possono ridurre al minimo le interazioni ambientali con gli ecosistemi, con effetti sull’ambiente trascurabili o addirittura positivi.

Studi LCA sugli imballaggi monouso e riutilizzabili per la ristorazione: un aggiornamento

Riprendendo quanto già discusso in questo post a proposito dell’impiego della metodologia LCA come strumento di supporto alle decisioni in materia ambientale e, in particolare, per analisi comparative tra imballaggi monouso e riutilizzabili per il settore della ristorazione, tema emerso in relazione alla discussione sul nuovo regolamento europeo sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggio (PPWR) e molto dibattuto, vi presentiamo la nuova pubblicazione sulla rivista scientifica The International Journal of Life Cycle Assessment del position paper di cui Lucia Rigamonti, Gaia Brussa e Giulia Cavenago sono coautrici: Requirements for comparative life cycle assessment studies for single-use and reusable packaging and products: recommendation for decision and policy-makers. 

L’obiettivo del position paper è quello di tracciare delle linee guida che possano servire ai decisori politici, e in questo specifico contesto ai membri del Parlamento Europeo, per chiarire cosa sia rilevante dal punto di vista scientifico e metodologico in materia di analisi del ciclo di vita: sono stati, quindi, definiti 11 criteri per valutare se uno studio basato sul “Life Cycle Thinking” possa essere considerato attendibile e se i risultati presentati possano essere utilizzati a supporto delle decisioni. 

In breve, abbiamo stabilito che uno studio LCA per essere considerato scientificamente robusto dovrebbe: 

  • essere indipendente e peer-review; 
  • essere conforme alle ISO 14040 e 14044; 
  • definire chiaramente gli obiettivi e lo scopo dell’analisi; 
  • essere trasparente sui dati dell’inventario e sui risultati della valutazione degli impatti; 
  • contenere analisi di sensibilità e di diversi scenari, per testare diverse assunzioni e parametri; 
  • definire i punti di break-even. 

Sempre sullo stesso tema, vi ricordiamo anche l’uscita a fine febbraio è dello studio del JRC (Joint Research Centre) “Exploring the environmental performance of alternative food packaging products in the European Union”. Lo studio esplora 5 scenari in cui le alternative monouso e riutilizzabili vengono confrontate: (1) Asporto di bibite (calde e fredde) da 0,5 L;  (2) Asporto di cibo pronto; (3) Vendita di bibite (alcoliche e non) da 0,55 L; (4)Vendita di vino da 0,75 L ; (5) Consumo di un pasto in un fast food.

The role of life cycle thinking-based methodologies in the development of waste management plans

È appena stato pubblicato un nuovo articolo sulla rivista Waste Management che si è concentrato sull’analisi dell’utilizzo delle methodologie di Life Cycle Thinking nella redazione dei Piani di Gestione dei rifiuti.

Highlights:

  • Valutazione dell’uso delle metodologie Life Cycle Thinking nei Piani di Gestione dei Rifiuti.
  • Valutazione di diversi livelli di applicazione dell’Analisi del Ciclo di Vita nei Piani di Gestione dei Rifiuti.
  • Applicazione del modello sviluppato per la revisione dei Piani di Gestione dei Rifiuti a livello italiano.
  • Raccomandazione per migliorare l’uso delle metodologie Life Cycle Thinking nella preparazione dei Piani di Gestione dei Rifiuti.

L’articolo è stato sviluppato nel contesto del gruppo di lavoro Gestione e Trattamento dei Rifiuti della Rete Italiana LCA.

Qui è possibile leggere la pubblicazione.

LCA di un assale innovativo per veicoli elettrici

E’ appena stato pubblicato un nuovo articolo sulla rivista scientifica Science of the Total Environment, dal titolo “Life Cycle Assessment of a novel functionally integrated e-axle compared with powertrains for electric and conventional passenger cars“. Lo studio ha analizzato gli impatti ambientali di un innovativo assale integrato per veicoli elettrici, sviluppato nell’ambito del progetto Horizon 2020 FITGEN. Lo studio ha:

  • confrontato l’assale “FITGEN” con altri sistemi di propulsione per autovetture;
  • mostrato che l’assale “FITGEN” riduce del 10% gli impatti sul cambiamento climatico e del 17% i consumi energetici della migliore tecnologia di assale elettrico disponibile sul mercato nel 2018;
  • calcolato che l’assale “FITGEN”, rispetto ai sistemi di propulsione a benzina e gasolio, riduce gli impatti in due delle otto categorie di impatto analizzate (cambiamento climatico e uso di risorse fossili);
  • confermato che le performance ambientali dei sistemi di propulsione sono fortemente dipendenti dalle efficienze dei singoli componenti;
  • mostrato che la riduzione dell’uso di elettronica e l’integrazione fra i componenti riducono gli impatti ambientali del veicolo;
  • invitato a maggiori sforzi per migliorare il profilo ambientale dei sistemi di propulsione elettrici, specialmente con riferimento agli impatti relativi alla tossicità, fortemente causati dalla filiera di estrazione dei metalli.

La pubblicazione è disponibile qui.

Riflessioni sulle bioplastiche nella gestione dei rifiuti

L’enorme crescita dell’utilizzo di bioplastiche, nel settore degli imballaggi ma non solo, risulta essere una specifica peculiarità italiana, derivante da una particolare interpretazione della Direttiva SUP sulle plastiche monouso. Il sistema di gestione dei rifiuti sta tuttavia mostrando una serie di criticità legate a questo “nuovo” materiale, che si ritrova ormai in quasi tutti i flussi raccolti, ed in particolare nell’organico e nelle plastiche.

Questo editoriale inquadra la situazione attuale e suggerisce alcune strategie per affrontare le problematiche individuate. E’ disponibile gratuitamente cliccando qua.

Ex-ante LCA di una tecnologia di flottazione in via di sviluppo: il caso Grecian Magnesite

Il progetto FineFuture, finanziato dall’Unione Europea, mira a creare nuove conoscenze scientifiche per consentire lo sviluppo di tecnologie rivoluzionarie per recuperare le frazioni di particelle fini.

La separazione e il recupero delle particelle molto sottili è importante per la valorizzazione di diverse risorse minerali e contribuirà a garantire la produzione di critical raw materials in un’ottica di maggiore sostenibilità.

La tecnologia FineFuture si basa sullo sfruttamento delle caratteristiche chimiche e fisiche delle particelle, consentendo loro di flottare e concentrarsi. Al fine di indagare la sostenibilità ambientale della tecnologia in via di sviluppo è stata condotta un’analisi prospettica del ciclo di vita (pLCA) per due possibili applicazioni industriali del caso applicativo Grecian Magnesite, che è uno dei principali produttori di ossido di magnesio in Europa.

Ciascuna applicazione può essere considerata come uno studio LCA comparativo indipendente che confronta il sistema attuale con il sistema futuro che incorpora la tecnologia FF su scala industriale.

La pubblicazione è disponibile qui.

Esplorando la filiera delle plastiche in Europa attraverso la Material Flow Analysis

È stato pubblicato sulla rivista Resources, Conservation and Recycling, in collaborazione con il Joint Research Centre di Ispra, lo studio riguardante l’analisi dei flussi di massa di plastiche nell’Unione Europea 27 (UE 27).

L’analisi è stata condotta attraverso la “Material Flow Analysis” (MFA), strumento che consente di analizzare i flussi di materia in input/output ai vari step di una filiera sotto esame. L’MFA è stato costruito combinando dati di letteratura e di statistiche ufficiali a livello UE, per un totale di 9 settori e 10 polimeri (per l’anno 2019). I settori esaminati ne includono alcuni comunemente studiati in letteratura (quali ad esempio il settore del packaging e quello dei trasporti) e altri ad oggi meno analizzati (quali ad esempio quello del settore sanitario e del fishing). Per ciascun settore, lo studio ha incluso anche specifici flussi particolarmente rilevanti per la comunità scientifica (quali ad esempio quelli legati alle perdite di plastiche in ambiente marino e terrestre lungo la filiera) e così come dei flussi ad oggi “ignoti” (quali i flussi di plastiche mismanaged – vale a dire per esempio flussi gestiti in maniera illegale).

I risultati delle analisi hanno sottolineato la rilevanza del settore packaging, sia per quanto riguarda la plastica consumata (33% su un totale di 44,7 Mt), sia per quanto riguarda il suo contributo (70%) al totale della plastica inviata a riciclo. Il totale delle plastiche riciclate annue consumate nella produzione di nuovi prodotti plastici ammonta a 4,46 Mt, a fronte di 28,8 Mt di rifiuto generate. Di quest’ultima quantità, ben il 13% è attualmente mismanaged, con particolare rilevanza nel caso del settore dei trasporti o delle apparecchiature elettriche ed elettroniche. Guardando alla filiera nella sua interezza, più di 2 Mt di plastiche vengono perse ogni anno, specialmente durante la fase d’uso.

Al fine di valutare in che modo il totale di plastiche riciclate e consumate per nuovi prodotti possa aumentare nel prossimo futuro, nello studio vengono analizzati un set di scenari semplificati. Questi scenari si ispirano ai target proposti nelle numerose policy europee che sono nate nei recenti anni ed aventi come scopo il settore delle plastiche. I risultati sono stati confrontati con il target UE di 10 Mt di plastica riciclata consumata per nuovi prodotti nell’anno 2025 (avvallato dalla Circular Plastics Alliance). Lo studio dimostra come solo più azioni combinate possono consentire di raggiungere il suddetto target, specialmente qualora miglioramenti nella fase di raccolta dei rifiuti fossero combinati con riduzioni di export e di flussi mismanaged. Solo attraverso strutture di monitoraggio dei flussi e una loro puntuale analisi si possono individuare potenziali non sfruttati nella filiera di importanza strategica in vista degli ambiziosi target UE.

L’articolo è disponibile qua.

Il ciclo di vita di un parco eolico offshore: una nuova pubblicazione disponibile

Risulta ormai chiaro che al fine di decarbonizzare il settore elettrico sia necessaria la crescita delle installazioni di impianti di produzione di energia rinnovabile; tuttavia, per valutarne la reale sostenibilità ambientale, è significativo analizzare le tecnologie di generazione elettrica da fonti rinnovabili anche in ottica di ciclo di vita. Nello specifico, la letteratura scientifica attualmente disponibile risulta essere ancora carente quando si tratta di analisi del ciclo di vita (LCA) di parchi eolici offshore, con turbine di grande taglia (oltre 15 MW) installate su strutture galleggianti, che rispecchiano i recenti sviluppi del settore e le attuali tendenze di mercato.

È stato recentemente pubblicato sulla rivista internazionale Sustainable Production and Consumption (Volume 39) l’articolo peer-review che riporta i dettagli dello studio LCA svolto per valutare i potenziali impatti ambientali associati all’intero ciclo di vita di un impianto eolico offshore galleggiante, la cui realizzazione al largo della Sicilia è attualmente in fase di autorizzazione. La pubblicazione è disponibile al seguente link.

Rimane, inoltre, accessibile la pubblicazione in italiano su Ingegneria dell’Ambiente (Volume 9, numero 3, anno 2022): scaricabile gratuitamente qui.

Nell’analisi sono state incluse le fasi di approvvigionamento dei materiali, trasporto dei componenti, assemblaggio e installazione con imbarcazioni specializzate, manutenzione durante la fase operativa, smontaggio e fine vita. Inoltre, l’analisi non è stata limitata alla turbina eolica decontestualizzata, ma sono stati inclusi anche gli altri componenti necessari alla realizzazione di un parco eolico in mare, con particolare attenzione per il sistema elettrico necessario per la trasmissione dell’energia prodotta, al fine di valutare quanto la complessità del sistema da implementare per installazioni lontane dalla costa, contribuisca ad aumentare gli impatti complessivi dell’impianto.

Confini del sistema analizzato: ciclo di vita di un impianto eolico offshore

Dai risultati si evince che gli impatti ambientali del parco eolico offshore con turbine galleggianti sono principalmente associati al ciclo di vita della turbina eolica e della struttura galleggiante, e in particolare alla produzione di acciaio, di cui sono richieste grandi quantità per la realizzazione di entrambi gli elementi. Le altre fasi del ciclo di vita, invece, hanno contributi nettamente più ridotti rispetto alla fase di approvvigionamento.

Dal confronto dei risultati per 1 GWh di energia prodotta dal parco eolico con la medesima quantità di energia prelevata dalla rete elettrica nazionale, considerando quindi il mix energetico costituito sia da fonti fossili che da rinnovabili, gli impatti complessivi dell’eolico risultano significativamente ridotti per quasi la totalità delle categorie di impatto analizzate: rispetto alla categoria “cambiamento climatico” il beneficio è pari ad una riduzione degli impatti del 92%, mentre si osserva un peggioramento solo per la categoria “esaurimento delle risorse abiotiche” (+95%). Inoltre, i risultati degli indici di payback dimostrano che gli investimenti in termini di emissioni di gas a effetto serra ed energia verrebbero ripagati velocemente dall’evitata generazione di energia da fonti fossili, rispettivamente in 2 e 3 anni.
Complessivamente, i risultati dell’analisi forniscono un’indicazione di massima, utile a prendere consapevolezza sui carichi ambientali di un sistema di generazione di elettricità da fonte rinnovabile e confrontarlo con altre fonti energetiche; tuttavia, deve essere tenuto in considerazione il fatto che, attualmente, si tratta una stima preliminare basata sulle scelte progettuali presentate per la fase di scoping della Valutazione di Impatto Ambientale.

Circolarità e sostenibilità /1

In questo nuovo articolo di discussione pubblicato sulla rivista internazionale Waste Management e preparato da Ciprian Cimpan (University of Southern Denmark), Eleni Iacovidou (Brunel University London), Lucia Rigamonti e Eggo U. Thoden van Velzen (Wageningen University & Research) si ricorda che circolarità non è necessariamente sinonimo di sostenibilità.

La circolarità è diventato un concetto consolidato nel dibattito pubblico ma rimane ancora una nozione ampia che necessita di una definizione precisa, che vada oltre l’uso di metriche e indicatori quali i tassi di raccolta e i tassi di riciclo. La circolarità misurata con tali indicatori non riesce a catturare la complessità del sistema e gli effetti più ampi, compresi i cosiddetti “rebound effects” che possono annullare o addirittura ribaltare i benefici ambientali.

Nell’articolo viene proposto un nuovo approccio per misurare la circolarità ossia una scorecard di circolarità incentrata sul prodotto che coglie gli aspetti che possono dimostrare la sostenibilità ambientale di un prodotto. Si basa su 7 semplici domande che coprono il ciclo di vita di un prodotto: produzione, utilizzo e fine vita. Questo approccio di “buon senso” ricorda la gerarchia dei rifiuti con un semplice ordine di priorità che vale nella maggior parte dei casi.

In conclusione, gli autori ricordano che è di fondamentale importanza non perdere di vista gli effettivi obiettivi dell’economia circolare. In un momento in cui la Direttiva sugli imballaggi e sui rifiuti d’imballaggio è in fase di revisione e in cui la comunità imprenditoriale si sta impegnando a raggiungere obiettivi ambiziosi per aumentare la circolarità dei propri prodotti, è fondamentale una circolarità che promuova la sostenibilità.

L’articolo è disponibile gratuitamente qua.

Il comunicato stampa del Politecnico di Milano è disponibile qua, sia in italiano che in inglese.