Valutazione della degradazione anaerobica di sacchetti in carta o in bioplastica per la raccolta del rifiuto organico

È disponibile una nuova pubblicazione relativa alla valutazione dell’influenza della tipologia di sacchetto utilizzato per la raccolta del rifiuto alimentare sul processo di trattamento del rifiuto stesso. Gli attuali sistemi si basano principalmente sull’utilizzo di sacchetti in bioplastica. Anche se meno diffusa, esiste una tipologia di sacchetto in carta riciclata appositamente studiata per questo scopo.

Lo studio, pubblicato sulla rivista Journal of Environmental Management, riporta i risultati delle prove di laboratorio svolte per caratterizzare il comportamento dei sacchetti in condizioni anaerobiche termofile. In dettaglio, presso la Fabbrica della Bioenergia del Politecnico di Milano, sono stati dapprima eseguiti test di biometanazione (BMP); successivamente, per meglio simulare le reali condizioni di funzionamento dei digestori a scala reale, i sacchetti sono stati sottoposti a prove di co-digestione in semi-continuo con il rifiuto alimentare.

Sebbene nelle prove di BMP sia stata osservata una buona degradabilità (>71%) dei sacchetti in bioplastica, le prove in semi-continuo hanno mostrato una degradabilità molto ridotta (<27%), confermata dallo stato fisico dei pezzi di sacchetti non degradati. Differenze riscontrate tra le tipologie di sacchetto esaminate sono parzialmente riconducibili a differenti affinità all’acqua.

Prospettive molto interessanti sono invece offerte dal sacchetto in carta, la cui degradabilità anaerobica nelle prove in semi-continuo (82%) è risultata anche superiore a quella delle prove di BMP (74%).

Pezzetti di sacchetti alimentati alle prove di digestione in semi-continuo in bioplastica (A e B) e in carta (C). Pezzetti di sacchetti non degradati estratti dalle prove di digestione in semi-continuo in bioplastica (D ed E) e in carta (F).

La pubblicazione è disponibile qui.

BAWL: un metodo alternativo per stoccare la CO2

Gli scenari di emissioni di gas serra con innalzamento delle temperature globali limitato a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali mostrano che le tecnologie di stoccaggio di CO2 sono indispensabili per conseguire la decarbonizzazione.

Data la disomogenea distribuzione geografica di formazioni geologiche sotterranee adatte allo stoccaggio di CO2, è quindi utile studiare metodi alternativi per lo stoccaggio. Uno di questi è BAWL (Buffered Accelerated Weathering of Limestone), un’evoluzione della tecnologia AWL già proposta da Rau e Caldeira nel 1999. Il processo alla base consiste nell’accelerazione del dilavamento delle rocce calcaree, un meccanismo che accade in natura con tempi dell’ordine dei millenni. La tecnologia BAWL propone di efficientare il processo AWL facendo reagire minori quantità di acqua di mare con CO2, carbonato di calcio (CaCO3) ed idrossido di calcio (Ca(OH)2). La reazione avviene lungo una condotta sottomarina alla fine della quale la CO2 sottoforma di bicarbonati è stoccata in maniera permanente a condizioni di pH simili a quelle del mare.

I risultati dell’analisi dei processi chimici che stanno alla base della tecnologia sono presentati nell’articolo disponibile gratuitamente al seguente link .

LCA applicata alla lavorazione dei metalli

È ora disponibile una nuova pubblicazione relativamente allo stato dell’arte dell’applicazione della metodologia LCA (Life Cycle Assessment) alla lavorazione dei metalli, con un focus specifico sul ruolo della flottazione. Sviluppata all’interno del progetto H2020 FineFuture, è frutto della collaborazione tra il gruppo di ricerca AWARE e l’Imperial College London, nella persona di Pablo Brito‑Parada. Lo studio ha messo in luce come il processo di flottazione sia tipicamente trascurato negli studi LCA nonostante la sua crescente rilevanza. Più in generale, la fase di arricchimento non viene dettagliata nei suoi sottoprocessi ed è spesso descritta utilizzando dati secondari ed obsoleti: ciò influenza negativamente la valutazione ambientale dell’intero settore metalmeccanico e minerario, e quindi l’LCA di molti prodotti.

La pubblicazione è disponibile qui o come pdf qui.

Un concentrato di pubblicazioni sulla rivista Ingegneria dell’Ambiente

Siamo felici di comunicarvi che il terzo volume di quest’anno della rivista Ingegneria dell’Ambiente è ricco di contributi del gruppo AWARE!

Troviamo un articolo di Giulia Cavenago, Mario Grosso e Lucia Rigamonti sulle fasi opzionali di normalizzazione e pesatura nella metodologia Life Cycle Assessment (LCA) e un articolo di Valeria Venturelli, Giovanni Dolci, Arianna Catenacci, Francesca Malpei e Mario Grosso sulla degradazione anaerobica di sacchetti in carta e in bioplastica per la raccolta del rifiuto alimentare.

Il primo articolo, trattando un argomento di estrema attualità, cerca di porre luce su alcune fasi a oggi opzionali della metodologia LCA partendo da un’analisi dello stato dell’arte e passando per le modalità d’uso di queste fasi proposte dal Joint Research Centre della Commissione Europea che si occupa di LCA.

Secondo la norma ISO 14044, standard tecnico che fornisce requisiti e linee guida su come condurre uno studio LCA, queste due fasi non sono obbligatorie, pertanto spesso gli studi si fermano alla fase precedente, quella di caratterizzazione degli impatti. Tuttavia, da una ricerca condotta nel 2015 nel contesto della Life Cycle Initiative, un’iniziativa congiunta del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) e della Società di tossicologia e chimica ambientale (SETAC), è emerso che, seppur ritenuto complicato e ancora poco robusto utilizzarle, entrambe le fasi vengano considerate rilevanti ai fini decisionali. Aggregare i risultati normalizzati e pesati, fornendo un unico punteggio indice dell’impatto ambientale complessivo del prodotto, è infatti d’aiuto per il decisore per il quale l’interpretazione delle molteplici informazioni ambientali può risultare complessa. Infine, nell’articolo sono riportati i risultati dell’indagine condotta sull’utilizzo attuale di queste fasi opzionali negli studi LCA pubblicati su alcune note riviste scientifiche. Il campione è stato ristretto a studi LCA applicati ai rifiuti, relativi al biennio 2019-2020.

Potete trovare qui l’articolo completo.

Il secondo articolo analizza i risultati di prove di degradazione anaerobica effettuate in laboratorio su differenti tipologie di sacchetti per la raccolta del rifiuto alimentare, in bioplastica e in carta, allo scopo di stimarne l’efficienza di degradazione nei digestori reali, individuando in tal modo l’opzione migliore per il trattamento anaerobico del rifiuto alimentare.

In Italia, per la raccolta del rifiuto alimentare, è ampiamente diffuso l’utilizzo di sacchetti in bioplastica compostabili, definiti tali in accordo allo standard tecnico UNI EN 13432:2002. La legislazione italiana prevede che questi manufatti debbano essere accettati da tutti gli impianti di trattamento biologico, siano essi aerobici o anaerobici. Tuttavia, lo standard richiede la sola valutazione della degradabilità aerobica, mentre non è generalmente necessario testare il comportamento in condizioni anaerobiche. Pertanto, l’articolo valuta la degradazione anaerobica dei sacchetti compostabili in bioplastica, analizzando i risultati di prove batch di biometanazione (BMP – biochemical methane potential) in condizioni termofile effettuate su quattro tipologie di sacchetti in bioplastica e su un sacchetto in carta specificamente realizzato per la raccolta del rifiuto alimentare, utilizzato come termine di paragone. I risultati delle prove indicano una buona degradabilità (>71%) dei sacchetti in bioplastica. Tuttavia, essi sono caratterizzati da particolari cinetiche di degradazione, con un andamento a gradini o una prolungata fase di latenza iniziale, che ne limitano la conversione in metano nei digestori reali, caratterizzati da alimentazione continua. Al contrario, prospettive molto interessanti sono offerte dal sacchetto in carta, che mostra, in aggiunta a una buona degradabilità anaerobica (74%), una cinetica di degradazione molto rapida.

Potete trovare qui l’articolo completo.

Siamo molto soddisfatti di aver pubblicato i nostri lavori su questa rivista italiana basata su una valutazione critica peer review. Ingegneria dell’Ambiente si propone come strumento per raggiungere e dialogare con il mondo dei tecnici ambientali, dei liberi professionisti, dei funzionari della pubblica amministrazione, dei formatori e degli Enti di controllo.

Quanta CO2 assorbe la calce nelle sue diverse applicazioni?

La calce è un prodotto che viene utilizzato in diversi settori: nei materiali da costruzione, nell’ingegneria civile, nel trattamento dei flussi inquinati (emissioni gassose, fanghi da depurazione), nell’industria chimica, nei processi metallurgici (ferrosi e non ferrosi), in agricoltura. Durante la calcinazione del calcare, ovvero il processo di produzione della calce, viene emessa CO2 da due fonti: l’uso di combustibili fossili e la decomposizione ad elevate temperature del carbonato di calcio (CaCO3). Successivamente la calce è in grado di assorbire una certa quantità di CO2 dall’atmosfera, variabile in funzione dell’utilizzo specifico.

Nel lavoro finanziato da EuLA (European Lime Association) si è valutato, mediante un’estesa analisi di letteratura, il potenziale di assorbimento della CO2 atmosferica attraverso il processo di carbonatazione durante la fase di utilizzo della calce sia nella forma “viva” (ossido di calcio, CaO) sia nella forma “spenta” (idrossido di calcio Ca(OH)2). Per le applicazioni considerate si è analizzata la letteratura scientifica attualmente disponibile, allo scopo di individuare l’effettivo potenziale di carbonatazione durante la vita dei prodotti, così da valutare in maniera più completa il reale impatto dell’industria della calce sul rilascio atmosferico di biossido di carbonio. Dallo studio risulta che circa il 23-33% della calce utilizzata nel mercato UE carbonata, riassorbendo in questo modo una quota parte della CO2 emessa durante la calcinazione.

Il lavoro è disponibile in modalità open access al seguente link .

Il rapporto completo è invece disponibile al seguente link .

Influenza della tipologia di sacchetto nella filiera di gestione del rifiuto organico

Sono disponibili due nuove pubblicazioni che mostrano come l’intera filiera di trattamento del rifiuto organico sia significativamente influenzata dalla tipologia di sacchetto utilizzato per la raccolta. In particolare, è stato confrontato l’utilizzo di sacchetti in bioplastica con l’impiego di sacchetti in carta.

Il primo articolo, pubblicato sulla rivista Waste and Biomass Valorization e disponibile gratuitamente qui, è relativo alla componente sperimentale dell’analisi.

I risultati delle valutazioni mostrano importanti differenze nel comportamento dei sacchetti in carta e in bioplastica durante lo stoccaggio domestico del rifiuto e in prove di biometanazione in laboratorio.

Il secondo articolo, pubblicato sulla rivista Waste Management & Research e disponibile qui, è invece relativo all’analisi del ciclo di vita dell’intera filiera di gestione condotta comparando le due tipologie di sacchetto.

L’analisi è stata condotta con due approcci metodologici differenti. I sacchetti in carta permettono un’importante riduzione degli impatti ambientali della filiera rispetto ai sacchetti in bioplastica con l’approccio applicato nelle dichiarazioni ambientali di prodotto EPD (Environmental Product Declaration). Con la metodologia applicata negli studi sull’impronta ambientale dei prodotti PEF (Product Environmental Footprint), le differenze tra i due sistemi sono invece più ridotte.

Circolarità è sinonimo di sostenibilità?

Questa è una delle domande che hanno ispirato il discussion paper “Life cycle assessment and circularity indicators” recentemente pubblicato nella rivista internazionale The International Journal of Life Cycle Assessment. Altra tematica affrontata nell’articolo è il legame esistente tra LCA e indicatori di circolarità. Questi ultimi vengono sempre più utilizzati per scegliere tra diversi scenari all’interno del contesto dell’economia circolare: ma una scelta basata solo su tali indicatori assicura che lo scenario scelto oltre ad essere il più circolare sia anche ambientalmente sostenibile?

Trovate le risposte a queste domande nell’articolo, scaricabile gratuitamente qua

Novità e sfide dell’approccio LCT applicato alla gestione dei rifiuti

E’ ora disponibile l’ultimo numero della rivista Ingegneria dell’Ambiente, nel quale sono confluiti molti dei lavori presentati durante la quinta edizione della giornata di studio “Rifiuti e Life Cycle Thinking” tenutasi il 9 marzo 2021 e organizzata dal gruppo di ricerca AWARE in collaborazione con il Gruppo di Lavoro “Gestione e Trattamento dei Rifiuti” dell’Associazione Rete Italiana LCA. Il numero si apre con un editoriale che tratta delle novità e delle sfide dell’approccio Life Cycle Thinking applicato al settore della gestione dei rifiuti.

L’intero numero della rivista, così come tutti i singoli articoli, scaricabili gratuitamente, li trovate a questo link.

Come migliorare un sistema avanzato di gestione dei rifiuti?

Domanda non banale, a cui l’ultimo editoriale su Waste Management & Research a cura di Mario Grosso cerca di dare qualche risposta. Nell’attesa di un ripensamento complessivo dell’attuale sistema di produzione dei beni, esistono già soluzioni game changer o si può solo procedere per progressive ottimizzazioni?

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Due pubblicazioni sul progetto Desarc-Maresanus per rimuovere CO2 dall’atmosfera e contrastare l’acidificazione degli oceani

Sulla rivista Frontiers in Climate sono stati pubblicati due studi svolti nell’ambito del progetto di ricerca Desarc-Maresanus nato dalla collaborazione tra il Politecnico di Milano e la Fondazione Centro euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC), con il supporto finanziario di Amundi e quello tecnico di CO2APPS.

Il primo studio analizza l’efficacia di rimozione della CO2 e del contrasto all’acidificazione nel bacino del Mar Mediterraneo mediante il processo di ocean liming, che consiste nello spargimento in mare di idrossido di calcio (calce idrata). Due scenari di spargimento sono stati valutati utilizzando un modello fisico-biogeochimico con i dati delle attuali rotte di navigazione. Il primo scenario è caratterizzato da un costante spargimento di idrossido di calcio in mare, complessivamente pari a 200 Mt all’anno, mentre il secondo scenario è contraddistinto da livelli di alcalinizzazione crescenti proporzionalmente alla riduzione del pH nello scenario di riferimento RCP 4.5. I risultati delle simulazioni modellistiche mostrano che dopo 30 anni di alcalinizzazione il tasso di assorbimento di CO2 del Mar Mediterraneo è quasi raddoppiato e la tendenza media all’acidificazione superficiale è neutralizzata rispetto allo scenario di riferimento senza alcalinizzazione. Maggiori informazioni sono disponibili nell’articolo al seguente link.

Nel secondo studio è stato stimato sia a livello globale sia a livello del bacino del Mar Mediterraneo il potenziale di spargimento di idrossido di calcio e la rimozione di CO2 in atmosfera sfruttando l’attuale traffico marittimo. È inoltre mostrato un alto potenziale di dispersione della calce in mare attraverso un modello fluidodinamico. L’articolo è disponibile al seguente link.