A new article is now available on the development of a prospective LCA on FineFuture flotation technology which is a novel technology being developed to help mining industry recover valuable minerals from very fine particles which are currently being discarded as waste. The project is being carried out under European Union’s Horizon 2020 research and innovation programme. For more information about the project, check the following link:
The article focuses on the scope definition phase of two industrial case studies within FineFuture project. The two industrial partners are Eramet for manganese concentrate production, and Grecian Magnesite for magnesia and magnesite concentrate production.
Performing LCA for an emerging technology like FineFuture can provide better interpretation of the potential environmental impacts of the technology under development even at early Technology Readiness Levels (TRLs). The recommendations concluded from such study can significantly and more effectively help mitigate potential adverse environmental impacts of the technology before it is available on industrial scale as it can provide early guidance to the developers of the technology.
The article is open access and can be viewed and downloaded via the link:
È ora disponibile una pubblicazione relativa alla valutazione di LCA condotta nell’ambito del progetto europeo FReSMe. In particolare, l’obiettivo di questo studio è stato quello di valutare gli impatti ambientali di una nuova tecnologia grazie alla quale i gas di processo di un’acciaieria sono utilizzati per produrre sia metanolo che elettricità. Lo studio ha dimostrato l’importanza di condurre una valutazione LCA fin dall’inizio del processo di sviluppo di una tecnologia: l’LCA può infatti guidare lo sviluppo tecnologico formulando raccomandazioni basate sulla quantificazione delle prestazioni ambientali delle diverse configurazioni possibili.
La rivista scientifica Frontiers in Climate ha pubblicato un ebook sul tema di ricerca: il ruolo delle tecnologie ad emissioni negative basate sugli oceani per la mitigazione dei cambiamenti climatici. Nell’ebook sono raccolte le pubblicazioni che analizzano vari aspetti delle tecnologie ad emissioni negative applicate agli oceani.
Gli studi raccolti rispondono
all’urgenza di sviluppare tecnologie per la rimozione di CO2
dall’atmosfera che insieme all’immediata e forte riduzione delle emissioni di
gas ad effetto serra sono necessari per evitare impatti più intensi dei
cambiamenti climatici. A partire anche da questi risultati, ulteriore ricerca
sul tema è in corso considerate le dimensioni del problema e del contributo che
gli oceani possono dare alla soluzione, benchè subiscano già attualmente gli
effetti come l’acidificazione degli oceani.
Tra le pubblicazioni ci sono anche i due studi del progetto di ricerca Desarc-Maresanus che sono stati pubblicati sulla rivista Frontiers in Climate (disponibili qui e qui). L’ebook è disponibile gratuitamente sia in formato pdf sia epub al seguente link.
Gli italiani sono tra i più grandi
consumatori di acqua minerale in bottiglia. Si stima che, ogni anno, ciascun
italiano beva in media più di 220 litri di acqua imbottigliata, cifra rilevante
che colloca il nostro Paese al primo posto in Europa e al terzo posto al mondo,
subito dopo Messico e Thailandia.
In tale settore, la promozione di un
packaging sostenibile ed ecocompatibile diventa quindi d’obbligo.
In relazione a questo tema, è ora disponibile sulla rivista internazionale Packaging Technology and Science una nuova pubblicazione del gruppo di ricerca AWARE che deriva dal lavoro di tesi magistrale dell’Ing. Viviana Grisales. L’articolo confronta due filiere alternative di distribuzione dell’acqua minerale nel contesto del nord Italia per il settore Ho.Re.Ca. (hotellerie-restaurant-café): bottiglie in PoliEtilene Tereftalato (PET) mono-uso da 0,5 litri e bottiglie in Vetro A Rendere (VAR) da 1 litro.
I risultati dello studio supportano la sostituzione delle bottigliette di plastica mono-uso solo nelle migliori condizioni di gestione del sistema VAR (almeno 25 usi della bottiglia e distribuzione locale) e contestualmente nelle peggiori condizioni per la filiera alternativa del PET (bottiglie di piccolo formato e produzione a partire da soli granuli vergini). Con l’introduzione di granuli riciclati (al 50% in peso) nella plastica mono-uso, le prestazioni ambientali della filiera del PET diventano ancora più favorevoli rispetto al vetro.
È disponibile una nuova pubblicazione relativa alla valutazione dell’influenza della tipologia di sacchetto utilizzato per la raccolta del rifiuto alimentare sul processo di trattamento del rifiuto stesso. Gli attuali sistemi si basano principalmente sull’utilizzo di sacchetti in bioplastica. Anche se meno diffusa, esiste una tipologia di sacchetto in carta riciclata appositamente studiata per questo scopo.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Journal of Environmental Management, riporta i risultati delle prove di laboratorio svolte per caratterizzare il comportamento dei sacchetti in condizioni anaerobiche termofile. In dettaglio, presso la Fabbrica della Bioenergia del Politecnico di Milano, sono stati dapprima eseguiti test di biometanazione (BMP); successivamente, per meglio simulare le reali condizioni di funzionamento dei digestori a scala reale, i sacchetti sono stati sottoposti a prove di co-digestione in semi-continuo con il rifiuto alimentare.
Sebbene nelle prove di BMP sia stata osservata una buona degradabilità (>71%) dei sacchetti in bioplastica, le prove in semi-continuo hanno mostrato una degradabilità molto ridotta (<27%), confermata dallo stato fisico dei pezzi di sacchetti non degradati. Differenze riscontrate tra le tipologie di sacchetto esaminate sono parzialmente riconducibili a differenti affinità all’acqua.
Prospettive molto interessanti sono invece offerte dal sacchetto in carta, la cui degradabilità anaerobica nelle prove in semi-continuo (82%) è risultata anche superiore a quella delle prove di BMP (74%).
Pezzetti di sacchetti alimentati alle prove di digestione in semi-continuo in bioplastica (A e B) e in carta (C). Pezzetti di sacchetti non degradati estratti dalle prove di digestione in semi-continuo in bioplastica (D ed E) e in carta (F).
Gli scenari di emissioni di gas serra con innalzamento delle
temperature globali limitato a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali
mostrano che le tecnologie di stoccaggio di CO2 sono indispensabili per
conseguire la decarbonizzazione.
Data la disomogenea distribuzione geografica di formazioni
geologiche sotterranee adatte allo stoccaggio di CO2, è quindi utile
studiare metodi alternativi per lo stoccaggio. Uno di questi è BAWL (Buffered
Accelerated Weathering of Limestone), un’evoluzione della tecnologia AWL già
proposta da Rau e Caldeira nel 1999. Il processo alla base consiste
nell’accelerazione del dilavamento delle rocce calcaree, un meccanismo che
accade in natura con tempi dell’ordine dei millenni. La tecnologia BAWL propone
di efficientare il processo AWL facendo reagire minori quantità di acqua di
mare con CO2, carbonato di calcio (CaCO3) ed idrossido di
calcio (Ca(OH)2). La reazione avviene lungo una condotta sottomarina
alla fine della quale la CO2 sottoforma di bicarbonati è stoccata in
maniera permanente a condizioni di pH simili a quelle del mare.
I risultati dell’analisi dei processi chimici che stanno alla base della tecnologia sono presentati nell’articolo disponibile gratuitamente al seguente link .
È ora disponibile una nuova pubblicazione relativamente allo stato dell’arte dell’applicazione della metodologia LCA (Life Cycle Assessment) alla lavorazione dei metalli, con un focus specifico sul ruolo della flottazione. Sviluppata all’interno del progetto H2020 FineFuture, è frutto della collaborazione tra il gruppo di ricerca AWARE e l’Imperial College London, nella persona di Pablo Brito‑Parada. Lo studio ha messo in luce come il processo di flottazione sia tipicamente trascurato negli studi LCA nonostante la sua crescente rilevanza. Più in generale, la fase di arricchimento non viene dettagliata nei suoi sottoprocessi ed è spesso descritta utilizzando dati secondari ed obsoleti: ciò influenza negativamente la valutazione ambientale dell’intero settore metalmeccanico e minerario, e quindi l’LCA di molti prodotti.
La pubblicazione è disponibile qui o come pdf qui.
Siamo felici di comunicarvi che il terzo volume di quest’anno della rivista Ingegneria dell’Ambiente è ricco di contributi del gruppo AWARE!
Troviamo un articolo di Giulia Cavenago, Mario Grosso e Lucia Rigamonti sulle fasi opzionali di normalizzazione e pesatura nella metodologia Life Cycle Assessment (LCA) e un articolo di Valeria Venturelli, Giovanni Dolci, Arianna Catenacci, Francesca Malpei e Mario Grosso sulla degradazione anaerobica di sacchetti in carta e in bioplastica per la raccolta del rifiuto alimentare.
Il primo articolo, trattando un argomento di estrema attualità, cerca di porre luce su alcune fasi a oggi opzionali della metodologia LCA partendo da un’analisi dello stato dell’arte e passando per le modalità d’uso di queste fasi proposte dal Joint Research Centre della Commissione Europea che si occupa di LCA.
Secondo la norma ISO 14044, standard tecnico che fornisce requisiti e linee guida su come condurre uno studio LCA, queste due fasi non sono obbligatorie, pertanto spesso gli studi si fermano alla fase precedente, quella di caratterizzazione degli impatti. Tuttavia, da una ricerca condotta nel 2015 nel contesto della Life Cycle Initiative, un’iniziativa congiunta del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) e della Società di tossicologia e chimica ambientale (SETAC), è emerso che, seppur ritenuto complicato e ancora poco robusto utilizzarle, entrambe le fasi vengano considerate rilevanti ai fini decisionali. Aggregare i risultati normalizzati e pesati, fornendo un unico punteggio indice dell’impatto ambientale complessivo del prodotto, è infatti d’aiuto per il decisore per il quale l’interpretazione delle molteplici informazioni ambientali può risultare complessa. Infine, nell’articolo sono riportati i risultati dell’indagine condotta sull’utilizzo attuale di queste fasi opzionali negli studi LCA pubblicati su alcune note riviste scientifiche. Il campione è stato ristretto a studi LCA applicati ai rifiuti, relativi al biennio 2019-2020.
Il secondo articolo analizza i risultati di prove di degradazione anaerobica effettuate in laboratorio su differenti tipologie di sacchetti per la raccolta del rifiuto alimentare, in bioplastica e in carta, allo scopo di stimarne l’efficienza di degradazione nei digestori reali, individuando in tal modo l’opzione migliore per il trattamento anaerobico del rifiuto alimentare.
In Italia, per la raccolta del rifiuto alimentare, è ampiamente diffuso l’utilizzo di sacchetti in bioplastica compostabili, definiti tali in accordo allo standard tecnico UNI EN 13432:2002. La legislazione italiana prevede che questi manufatti debbano essere accettati da tutti gli impianti di trattamento biologico, siano essi aerobici o anaerobici. Tuttavia, lo standard richiede la sola valutazione della degradabilità aerobica, mentre non è generalmente necessario testare il comportamento in condizioni anaerobiche. Pertanto, l’articolo valuta la degradazione anaerobica dei sacchetti compostabili in bioplastica, analizzando i risultati di prove batch di biometanazione (BMP – biochemical methane potential) in condizioni termofile effettuate su quattro tipologie di sacchetti in bioplastica e su un sacchetto in carta specificamente realizzato per la raccolta del rifiuto alimentare, utilizzato come termine di paragone. I risultati delle prove indicano una buona degradabilità (>71%) dei sacchetti in bioplastica. Tuttavia, essi sono caratterizzati da particolari cinetiche di degradazione, con un andamento a gradini o una prolungata fase di latenza iniziale, che ne limitano la conversione in metano nei digestori reali, caratterizzati da alimentazione continua. Al contrario, prospettive molto interessanti sono offerte dal sacchetto in carta, che mostra, in aggiunta a una buona degradabilità anaerobica (74%), una cinetica di degradazione molto rapida.
Siamo molto soddisfatti di aver pubblicato i nostri lavori su questa rivista italiana basata su una valutazione critica peer review. Ingegneria dell’Ambiente si propone come strumento per raggiungere e dialogare con il mondo dei tecnici ambientali, dei liberi professionisti, dei funzionari della pubblica amministrazione, dei formatori e degli Enti di controllo.
La calce è un prodotto che viene utilizzato in diversi settori: nei materiali
da costruzione, nell’ingegneria civile, nel trattamento dei flussi inquinati (emissioni
gassose, fanghi da depurazione), nell’industria chimica, nei processi
metallurgici (ferrosi e non ferrosi), in agricoltura. Durante la calcinazione
del calcare, ovvero il processo di produzione della calce, viene emessa CO2
da due fonti: l’uso di combustibili fossili e la decomposizione ad elevate
temperature del carbonato di calcio (CaCO3). Successivamente la
calce è in grado di assorbire una certa quantità di CO2 dall’atmosfera,
variabile in funzione dell’utilizzo specifico.
Nel lavoro finanziato da EuLA (European Lime Association) si è valutato,
mediante un’estesa analisi di letteratura, il potenziale di assorbimento della CO2
atmosferica attraverso il processo di carbonatazione durante la fase di
utilizzo della calce sia nella forma “viva” (ossido di calcio, CaO) sia nella
forma “spenta” (idrossido di calcio Ca(OH)2). Per le applicazioni
considerate si è analizzata la letteratura scientifica attualmente disponibile,
allo scopo di individuare l’effettivo potenziale di carbonatazione durante la
vita dei prodotti, così da valutare in maniera più completa il reale impatto
dell’industria della calce sul rilascio atmosferico di biossido di carbonio. Dallo studio risulta che circa il 23-33% della calce utilizzata nel mercato
UE carbonata, riassorbendo in questo modo una quota parte della CO2
emessa durante la calcinazione.
Il lavoro è disponibile in modalità open access al seguente link .
Il rapporto completo è invece disponibile al seguente link .
Sono disponibili due nuove pubblicazioni che mostrano come l’intera
filiera di trattamento del rifiuto organico sia significativamente influenzata
dalla tipologia di sacchetto utilizzato per la raccolta. In particolare, è stato
confrontato l’utilizzo di sacchetti in bioplastica con l’impiego di sacchetti
in carta.
Il primo articolo, pubblicato sulla rivista Waste and Biomass Valorization e disponibile gratuitamente qui, è relativo alla componente sperimentale dell’analisi.
I risultati delle valutazioni mostrano importanti differenze nel comportamento
dei sacchetti in carta e in bioplastica durante lo stoccaggio domestico del
rifiuto e in prove di biometanazione in laboratorio.
Il secondo articolo, pubblicato sulla rivista Waste Management & Research e disponibile qui, è invece relativo all’analisi del ciclo di vita dell’intera filiera di gestione condotta comparando le due tipologie di sacchetto.
L’analisi è stata condotta con due approcci metodologici differenti. I sacchetti in carta permettono un’importante riduzione degli impatti ambientali della filiera rispetto ai sacchetti in bioplastica con l’approccio applicato nelle dichiarazioni ambientali di prodotto EPD (Environmental Product Declaration). Con la metodologia applicata negli studi sull’impronta ambientale dei prodotti PEF (Product Environmental Footprint), le differenze tra i due sistemi sono invece più ridotte.