CO2, calce e oceani: cause, effetti e possibili soluzioni ai cambiamenti climatici

La calce è un prodotto versatile dalle numerose applicazioni in vari settori industriali. Tuttavia la sua produzione genera emissioni di CO2 non solo a causa dell’eventuale utilizzo di combustibili fossili, ma anche e soprattutto per l’essenza del processo stesso, che richiede la decarbonatazione del carbonato di calcio di cui sono composte le rocce calcaree.

Le emissioni di CO2 di origine fossile e degli altri gas serra contribuiscono all’aumento delle concentrazioni atmosferiche di questi gas che intrappolando energia causano l’incremento delle temperature globali. Questo incremento sarebbe maggiore se non ci fossero gli oceani che assorbono circa un quarto delle emissioni e immagazzinano circa il 90% dell’energia in eccesso dovuto all’aumento delle concentrazioni atmosferiche dei gas serra.

Questo “favore” che otteniamo dagli oceani ha però degli effetti collaterali, tra i quali un inevitabile aumento delle temperature oceaniche (di circa 0,88°C rispetto al 1850) e un’eccezionale acidificazione, ovvero la riduzione del pH, rispetto agli ultimi 2 milioni di anni. Una delle conseguenze più note è il fenomeno dello sbiancamento dei coralli, la cui struttura è composta prevalentemente da carbonato di calcio, che ne mette a rischio la sopravvivenza. Gli impatti del riscaldamento e della acidificazione degli oceani sugli ecosistemi marini sono ingenti e conseguentemente anche sulla popolazione la cui economia e sussistenza dipendono dall’oceano. Questi impatti sono destinati ad aumentare se non si interviene.

Gli scenari climatici globali mostrano come sia necessaria un’immediata e drastica riduzione delle emissioni globali di gas serra, fino ad azzerarle al 2050 per traguardare un mondo dove l’aumento delle temperature sia contenuto al di sotto dei 2°C. In aggiunta a questa rapida e forte riduzione delle emissioni, gli stessi scenari indicano che l’assorbimento di CO2 dall’atmosfera tramite dei processi come l’attività fotosintetica svolta dalle piante sono essenziali per raggiungere questi obiettivi di stabilizzazione della temperatura.

Dato che la superficie terrestre è limitata e destinata anche ad altre attività come la produzione di cibo, altri processi di rimozione di CO2 dall’atmosfera sono da investigare, inclusi quelli che coinvolgono gli oceani. Tra questi processi oceanici di rimozione di CO2 c’è l’aumento di alcalinità tramite la dissoluzione nell’acqua di mare, in condizioni controllate, di materiali basici quali la calce. Questo processo avrebbe come ulteriore beneficio sulla scala locale il contrasto all’acidificazione dell’oceano.

La rimozione di CO2 atmosferica tramite la dissoluzione di materiali alcalini in acqua di mare accadrebbe naturalmente, ma sulla scala di centinaia di migliaia di anni e ristabilirebbe un nuovo equilibrio del ciclo di carbonio tra atmosfera, oceano e terre emerse, ora pesantemente sbilanciato dalle emissioni antropogeniche. Il processo naturale in questione è il dilavamento delle rocce ad opera delle acque meteoriche ricche di CO2 disciolta dall’atmosfera, che quindi viene convogliata verso gli oceani e lì immagazzinata nella forma stabile di ioni bicarbonato.

Nell’ambito del progetto di ricerca Desarc-Maresanus, il gruppo di ricerca AWARE al Politecnico di Milano sta studiando da anni vari aspetti del processo di aumento dell’alcalinità dell’oceano, con particolare riferimento all’analisi dei potenziali impatti ambientali tramite la metodologia LCA. In questo modo la calce, se prodotta ad emissioni zero, passerebbe dall’essere una delle cause degli impatti che subisce l’oceano ad un elemento che può contribuire alla mitigazione del problema.

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